lunedì 31 dicembre 2018

BLU DI CIELO

Vasilij Kandinskij, Blu di Cielo, 1940




Ho pensato: 
adesso mi blocco e non ne esco più,
perché ho studiato
col pensiero insistente di te.
Si può dire che l'abbiamo preparato insieme, quell'esame?
Adesso mi blocco e non ne esco più,
mi ero tagliata i capelli da poco.


La sera in cui il mio cervello
si autosabotò,
diventando uno sterminato
spazio bianco e vuoto,
mi sono fatta una foto
per non far preoccupare
mia madre.
La didascalia diceva
short hair don't care
con gli occhi ancora di pianto.


Ma io ti lascio andare,
ho deciso tornando a casa con lo zucchero, 
l'ultimo giorno di lezioni
della mia vita.
Ho pensato:
voglio ricordarmelo
questo momento qui,
mentre torno a casa
per l'ultima volta
con questo sacchetto in mano
e il tramonto davanti.
Voglio ricordarmela,
questa inusuale
calma dentro
che mi sembra un Autunno
perenne. 
Anche se l'Estate non era ancora
iniziata.


Ho mollato la presa
sul rimpianto di te,
il giorno in cui
ho iniziato a leggere quel libro
che sapevo mi avrebbe fatto male:
sulle scale della biblioteca,
cercando di contenermi.
Pull myself together,
dicono gli inglesi.
Questa poesia non doveva essere
su di te
ma sul coraggio che ho avuto 
una sera,
di lasciarti andare.


Tu sei solo un ulteriore promemoria
delle Prime Volte
che ho fissato
negli occhi 
ed erano già Ultime:
l'ultima volta che ti ho visto
mi sono ricordata
dello zucchero.
E degli esami che non ho più 
preparato
con in testa te.


Adesso mi blocco e non ne esco più
ma intanto i mesi 
sono passati
e in fondo ai tunnel
delle mie piccole catastrofi emotive
non ho più visto
gli occhi tuoi.


Sai.


Forse in un mondo parallelo 
in cui capiresti,
leggeresti in questa poesia
il modo in cui dico tutto 
con due parole.
Il coraggio,
soprattutto di iniziare.
L'Estate più calma
degli ultimi 
sette anni.
L'Arte Medievale
e quel campo sterminato
di spighe 
tornando a casa.
Quando me ne sono andata.


In un mondo parallelo 
rideresti
al panico collettivo di 
sei amiche 
con le valigie,
sotto un acquazzone estivo.
Che tutto quello 
che ho fatto
per una settimana
è stato ballare al buio, 
prima di addormentarmi.


Tutto quello
che ho fatto per un anno
è stato provarci, 
a passare al di là di me stessa
per guardare con occhi fermi
ciò che mi lasciavo indietro;
a pianificare di spaccare 
i muri 
che mi si chiudevano addosso
in piena notte. 


Forse in un mondo parallelo
capiresti
ma non mi interessa più spostare le montagne
di un tuo sorriso:
non scambierei 
per la tua comprensione,
gli incommensurabili
giorni a perdermi da sola
tra le strade di Firenze.
I concerti
per dirsi addio.
L'arte di saper
disinnescare,
come in quel film di Genovese.
Il coraggio di 
alzare i tacchi 
ed andarmene.
Per salvarmi.


Non scambierei 
per tutti gli sterminati spazi bianchi
che colmavi 
per un po'
quando mi abbracciavi al sole,
la notizia
un giorno
di una vita in arrivo.
Il modo 
in cui ci siamo guardate
in silenzio,
sbigottite.
Allungandoci all'infinito.


Adesso mi blocco e non ne esco più.
Ma intanto i miei capelli sono ricresciuti
e questa,
non doveva essere 
una poesia su di te.
Ma ti ho scritto
parole,
di cui non hai idea
e in un mondo parallelo,
in cui non avrei il coraggio 
di sorridermi allo specchio
le capiresti.
E rimarresti.





A. S.

domenica 2 dicembre 2018

LUCI NOSTRE


Urlavi «cosa racconteremo ai figli che non avremo, di questi cazzo di anni zero?».
Mi colpisce il pensiero di come l'impulso nostalgico di una mattina di Settembre, mi abbia spinto ad acquistare un biglietto per la data più vicina. "Vuoi venire?", ho scritto a M., e ancora prima che mi rispondesse sapevo già che sarebbe stato un sì. Il 3 ottobre, invece, nella quotidianità priva di nostalgia (semmai piena di stress) di una mattinata di studio come tante, mi è apparsa sul cellulare la notizia che questi dieci anni di Luci si sarebbero presto spenti. Il modo in cui l'hai detto però, specificando che in maniera molto relativa tu andavi a chiudere un progetto di dieci anni e c'era ancora un sacco di gente che nemmeno aveva idea di chi tu fossi, non l'ha reso tragico. Perché a me piace tantissimo la relatività delle cose. E' stato triste, ecco, anche se tutto quello che sono riuscita a pensare era che è bello accorgersi di essere cresciuti. Tu te ne sarai accorto chissà come, ma dev'essere stata una rivelazione inaspettatamente serena. Come quando senza volere guardi fuori dalla finestra e dici "ah, ma è già buio". Una constatazione amichevole del nostro niente, per rubarti le parole. 
Dicevo, in maniera molto relativa tu chiudi questo progetto e c'è gente che è ancora convinta che Le Luci Della Centrale Elettrica sia un gruppo (anche io un bel po' di anni fa ho fatto un po' fatica a capirlo), invece ci sei sempre stato solo tu e quella specie di confusionaria slam poetry che lasciava perplessi chi non ti capiva. 
Io invece ho sempre pensato che lavoraccio fosse, mettere dentro una canzone tutto tutto tutto quello che volevi dire. Tu mi hai dato sempre l'impressione di esserne capace, indipendentemente dalle parole che usavi. Indipendentemente dalla confusione, ho sempre capito quello che dovevo capire.
Quindi sai cosa racconterò, di questi cazzo di anni zero? Racconterò la prima parte dei miei vent'anni, il privilegio di crescere accanto a quel gruppo assurdo di amici che mi ha raccolta da terra, ricomposta, messa in piedi tante volte. Un privilegio secondo solo alla gioia di veder loro crescere, compiere passi da giganti, acquisire consapevolezze, ritrovare se stessi dopo essersi persi. Racconterò dei giorni in cui imparavamo a conoscerci, le sere in cui tornavo a casa a piedi dall'università, la solitudine dei ritorni e delle partenze, l'insonnia causata dal pensiero che il futuro potesse separarci, ma «nel disastro il futuro era sempre lì a sorriderci»; dei tramonti che mi riempivano il cuore, le cime degli alberi dopo una lunga giornata, i viaggi in solitaria, le serate felici da fare schifo, tutti i concerti rigorosamente in transenna, i pianti trattenuti, gli esami che mi hanno fatto disperare,  le stanze vuote, il rumore delle luci. 
Le tue canzoni a fare da soundtrack senza volerlo, ad insegnarmi a provare a dire tutto quello che c'è da dire. Com'è crescere «all'interno delle luci»; com'è non scordare mai le parole di Cara Catastrofe, che ha aperto tutto, inclusi questi anni. E poi racconterò di te, dicendo che «dopo di lui più nessuno a correre con le braccia ad ali di gabbiano», perché servirebbe anche quel tipo di coraggio, a vent'anni.
Hai chiuso con un'inaspettata versione acustica di Questo Scontro Tranquillo, radunandoci tutti ai piedi del palco e non potevi che regalarmi gioia più grande.

Si abbassano le Luci
Si alza il sipario
Entra: Vasco.