Non mi siedo mai in questo punto della casa, sulla panchinetta grigia in salotto che ha davanti la grande finestra che da sul balcone. Mi rendo conto che è già poetico così e infatti è l'ideale, se solo non avessi lo strano complesso interiore di non volermi mai far vedere mentre scrivo al pc. Non mi siedo mai qui per scrivere, perché il corridoio vicino è quello che parte dalla porta d'ingresso. Che ansia.
Ho sempre scritto nel buio e nella solitudine di camera mia, appunto perché non so concentrarmi né farmi vedere. Questo mi riporta a un problema che mi ha davvero tormentato nel corso delle scorse settimane: qualcosa che è durato relativamente poco, qualche giorno, ma che in realtà mi trascino praticamente da sempre. Infatti persiste ancora in questo momento, solo in una forma più attenuata e leggermente più calma. La colpa è tutta di Xavier Dolan reo, innanzitutto, di non avermi (ancora) risposto su Twitter o Instagram e poi, in "secondo luogo", di avermi involontariamente messa con le spalle al muro per costringermi a osservare, uno per uno, tutti i miei limiti. Non ci vedo nulla di male nell'avere dei limiti, non è questo il problema. Il problema, nel mio caso, sorge quando mi rifiuto categoricamente di superarli o almeno provarci nel momento in cui so di poterlo fare. Non capisco, perciò, se si tratta di limiti nel senso puro della parola oppure semplicemente di paura, poco coraggio, pigrizia.
Un limite è il fatto che, appunto, mi nascondo da sempre quando scrivo. Sia fisicamente che psicologicamente: dentro una stanza, dietro uno pseudonimo, in mezzo alle storie. Pochissime persone che realmente mi conoscono hanno letto qualcosina di mio e questo solo dopo che la sottoscritta c'ha messo del tempo per decidersi. Ci sono stati giorni, di recente, in cui mi sono chiesta da dove, quale punto della mia vita passata, partisse tutta questa vergogna. Tutto questo nascondersi, questo vivere quasi una vita parallela a questa e solo mia. Ho tentato di ricollegare questa vergogna di metterci la faccia e la verità dentro le parole e mi è venuto in mente quanto mia madre odiasse le carinerie, quando ero piccina. Quanto mio padre fosse distante. La verità è che, sebbene le cose adesso siano cambiate tantissimo, quel soffocamento emotivo mi deve aver portata dritta sulla strada in cui sono. I miei sono cresciuti con me e sono diventati i miei più grandi sostenitori, il loro sostegno e supporto non mi manca, tuttavia non so ancora come ritornare indietro e ripartire nuovamente, perché scrivo da sempre e da sempre mi nascondo. Perché mi protegge, perché posso controllarlo, perché è il modo più semplice di non soccombere.
Non lo so.
Fatto sta che aver conosciuto il lavoro e le storie coraggiose, oneste, forti e autobiografiche di questo ragazzo di 29 anni mi ha prima buttato a terra l'autostima, poi quando si è rialzata l'ha presa per i capelli e l'ha ributtata di nuovo.
Ciò che avrei tanto voluto sapere da lui è come si scrive senza filtri, come si fa a dire veramente la verità e venirne fuori. Come si diventa così determinati come i treni che sfrecciano senza fermarsi in nessun caso.
Non lo so, di nuovo.
Ma adesso so che è possibile venirne fuori, in un modo o nell'altro, perché non c'è nessuna fretta e la strada è sempre così lunga.
venerdì 20 aprile 2018
V
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